“Il nostro statuto era il contratto” (Bonomo editore,
Bologna, 2021, pp. 335, euro 20,00) è la nuova edizione del libro che Giovanni
Graziani pubblicò nel 2007 col titolo “Il nostro statuto è il contratto”. Il
passaggio dal presente all’imperfetto esprime, secondo l’autore, l’idea che nel
1973, con la legge sul processo del lavoro, si registra nella Confederazione
fondata da Giulio Pastore una mutazione genetica con la definitiva liquidazione
della posizione iniziale della Cisl contro lo Statuto dei lavoratori in quanto
preclusivo dell’accordo quadro proposto negli anni Sessanta. Quell’accordo
quadro col quale si intendeva costruire, nell’ambito e con gli strumenti del
diritto privato, un sistema dinamico di regole per le relazioni sindacali.
Quindici anni fa, su Viapo, il settimanale culturale
di Conquiste del lavoro e sul sito della Biblioteca centrale della Cisl,
scrissi un breve commento sul lavoro di Graziani in cui esprimevo un giudizio
sostanzialmente positivo definendo il libro “tosto, ma tutto da leggere”. Un
libro, precisavo, che “ha il merito, tra l’altro, di far luce su un periodo
della storia della Cisl poco conosciuto”. Non avevo mancato di sottolineare i
toni a tratti impertinenti, talvolta addirittura provocatori, che connotavano
il suo ripercorrere una vicenda che ha segnato la storia del diritto del lavoro
e dello stesso sindacato italiano.
Non posso che confermare queste mie valutazioni sulla
nuova edizione che rispetto alla precedente riduce al minimo l’appendice di
documentazione che passa dalle oltre cento pagine del 2007 alle attuali sedici.
Il pezzo forte della documentazione è rappresentato
dal testo del discorso tenuto dal professore Francesco Santoro-Passarelli alla
fine del corso annuale di formazione per giovani dirigenti della Cisl il 30
giugno 1968.
Altri aspetti che ho apprezzato sono le segnalazioni
di testi e saggi, anche online, di cui non conoscevo l’esistenza. Ho trovato
curioso e interessante il suo considerarsi idealmente un “giuseppino”.
Non ho invece apprezzato alcuni sassolini che
Graziani si toglie dalle scarpe esprimendo, a mio parere, giudizi non da
studioso. Come non ho apprezzato l’infierire su Bruno Storti.
Ma quello che meno mi è piaciuto è la dedica dove
sono spariti, a vantaggio di altri, i nomi di Giovanni Marongiu e di Anita
Carini.
Mi sembra, infine, di aver colto l’intenzione di
scrivere una terza edizione che guarda alla legge del 1990 sullo sciopero.
Terza edizione che, temo, non avrò il piacere di leggere per l’età troppo
avanzata ma nella quale mi piacerebbe trovare, ad esempio, nell’indice dei nomi
a pagina 332, “Piva, Paola” e non Paolo come si era verificato anche a pagina
325 della precedente edizione. Così come mi piacerebbe trovare gli allegati
alla circolare della segreteria generale Cisl 39/1969 citata a pagina 200.
1 commento:
Caro Enrico, grazie dei tuoi giudizi proprio perché, come nel 2007, non sono complimentosi ma credibili, frutto di una lettura sincera senza pregiudizi positivi o negativi. E infatti hai esattamente colto alcuni aspetti che non hai apprezzato ma che erano assolutamente voluti, anche a prezzo di dispiacere. Come i "sassolini", che non saranno da studioso ma da polemista sì. Ed io considero la polemica una nobile arte, strettamente imparentata alla politica, quindi superiore alla neutralità dello studioso che talora può essere imparentata all'ignavia.
Quanto alla documentazione, l'ho alleggerita per due motivi: uno volgare, cioè le spese di pubblicazione un tanto a pagina a mio carico, e uno più serio, ossia l'inutilità di ripubblicare cose ormai note.
Ma la lezione di Santoro-Passarelli, permettimi, è qualcosa di più di un "pezzo forte", è una bomba che fa saltare tutta la narrazione sulla storia dei rapporti fra la Cisl e il diritto del lavoro che si è affermata in materia negli anni seguenti. E anche la lettera di Storti a Grandi mi sembra un contributo oggettivo sulla vicenda di quel segretario generale della Cisl verso il quale non ho l'acrimonia che mi attribuisci (d'altra parte i carnitiani mi hanno detto che ce l'ho con Carniti, i giugniani che ce l'ho con Giugni e quelli di Donat Cattin mi hanno detto lo stesso con la loro figura di riferimento).
Aggiungo solo, perché mi tocca sul vivo (certo più dell'essermi sfuggito "Paolo" per "Paola"), una precisazione sul cambiamento della dedica, in particolare per Anita che citavo per avermi "insegnato la Cisl". Come sai, per i casi della vita non faccio più parte del mondo della Cisl, se non come una storia che fa parte del mio vissuto e che nessuna protervia può strapparmi. Nella mia condizione attuale, certi ricordi e certe fedeltà si custodiscono meglio nell'intimo che esibendole a rischio che qualcuno ti accusi di usare i morti contro i vivi. Pericolo che non c'era con Aldo, Marianna e Giampiero, dal rapporto con i quali è nato molto di quel che ho messo nel libro, sia prima che seconda versione.
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