La fine del sindacato. Così nella prima pagina del
numero 18 del 28 aprile di Panorama. Che aggiungeva, sotto la foto del volto
corrucciato di Maurizio Landini, “Non difende gli interessi dei nuovi
lavoratori. Fallisce il ricambio generazionale degli iscritti…Tutte le crisi e
i retroscena di un corpo intermedio fermo ancora al Novecento”.
Ma è veramente finito il sindacato? Sembrerebbe di
no, anche se alcuni segnali preoccupanti dovrebbero far riflettere. Quello che
sorprende, in questa fase, è che - di fronte a dati come quelli contenuti nelle
ricerche di Batut, Lojkine e Santini da un lato e Agnolin, Anelli, Colantone e
Stanig dall’altro - nessuno tra gli autorevoli studiosi delle vicende sindacali
abbia tentato di fare chiarezza sulla reale consistenza degli iscritti alle
grandi confederazioni italiane. Così come nessuno, secondo quanto ci risulta,
si sia azzardato a confutare quanto afferma Sabino Cassese nel libro Le
strutture del potere. Che cioè “i sindacati hanno come iscritti più pensionati
che lavoratori. La loro azione è rivolta innanzitutto alle stabilizzazioni dei
precari. Sono finanziati in larga misura dallo Stato, pur se con sotterfugi”.
Solo separando i fatti dalle opinioni sarà possibile
affrontare seriamente una problematica su cui oggi si dice tutto e il contrario
di tutto.
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